Vola, vola utopia..!
Scandagliando l'anima di una città
Ebbene esaminiamola l'indole della nostra città. Dotiamo di grandi lenti il nostro acume mentale e guardiamola, scandagliamo fino al fondo questa disposizione che c'induce a comportamenti di cui poi, spesso, ci lamentiamo. Senz'altro sarà il mare e questo nostro sole che ci fa socchiudere gli occhi e concilia la siesta messicana in tutte le stagioni dell'anno, non solo quando la scintillante estate ci spinge a mettere ad abbrustolire le natiche. E' proprio la nostra flemma assolata a sconsigliarci di essere alla ricerca di una soluzione di prospettiva, che ci porti gradatamente fuori dalle secche in cui ci dibattiamo. Non abbiamo molta voglia d'impegnarci nella risoluzione quotidiana dei problemi, che non sono però privi di una buona dose di finalità e di alti principi. Siamo nella nostra storia un po' come l'atleta velocista, che sa bruciare nella corta distanza tutte le sue energie, si fa ammirare per l'eleganza della falcata e la potenza della sua corsa bruciante, ma poi si toglie le morbide scarpette chiodate ed aborre le lunghe distanze e finanche il mezzo fondo.
A ben guardare, tutta la nostra storia è costellata di lunghe attese e sottomissioni alla ingordigia del potere, di volta in volta delle baronie feudali e dei signorotti locali, del regime fascista e dei mazzieri, alle quali hanno fatto alternanza ribellioni tanto esplosive quanto improvvise.
Ma per stare in pasta delle vicende più vicine a noi, basta guardare soltanto agli ultimi trent'anni della nostra storia.
Alla metà degli anni sessanta Manfredonia, tra i grandi comuni pugliesi, era la più povera d'industrie e, nonostante in nessuna città di Capitanata come nella nostra città aveva avuto avvio un minimo di attività turistica estiva, con l'affitto di camere e posti letto nelle proprie case ai bagnanti foggiani e degli altri comuni limitrofi, gran parte della popolazione salutò come salutare l'apertura di fabbriche che avranno vita breve, come l'Ajinomoto, o travagliata come l'Anic e le industrie collegate; ma, quando l'Enel decise d'installare nella piana di Macchia la sua centrale funzionante a nafta, Manfredonia insorse, con ripetute manifestazioni e scioperi generali, costringendo l'industria di Stato a fare marcia indietro e desistere dalla determinata intenzione d'impiantare la centrale termoelettrica.
Stessa storia nel rapporto che la città seppe tenere nei riguardi dell'EniChem Agricoltura, stretta tra invenzioni da terra promessa della stampa prezzolata, che preannunciava al suo sorgere (come Anic) addirittura cinquemila nuovi posti di lavoro, e la subdola propaganda politica, tutta tesa a speculare su questa nuova possibilità clientelare ed addolcita dalle allettanti blandizie di un colosso come l'Eni.
Poi la musica cambiò e la città si trovò serrata in una durissima morsa, fra capitalisti senza scrupoli e lavoratori organizzati a difesa della fabbrica. Una convergenza d'interessi basata sul senso di appartenenza all'azienda, sentita come punto d'arrivo ed arioso status symbol, in una città economicamente depressa.
Con l'arrivo delle navi dei veleni, la città si sentì schiaffeggiata e di nuovo scese in piazza per richiedere rispetto, una politica più sensibile alle questioni riguardanti la salute, la pulizia ambientale non disgiunta da quella morale.
Oddio di nuovo le lotte, con la rottura della quiete casalinga, la fine delle discussioni al bar e degli incontri conviviali con gli amici; ancora un freno al rumoreggiare degli zoccoli in cammino verso la spiaggia o verso le belle panche della villa comunale; nuovamente gli scontri politici tanto detestati, in una città dove si è stentato, nel passato, a riconoscere le differenze tra fascismo ed antifascismo, si stenta a farlo, oggi, tra maggioranza e opposizione, giacché qui da noi governa il motto del "volemose ben", lo struscio serale e l'uggia giornaliera!
E, nonostante tale indolente tentazione, la gente scese in piazza e praticamente la tenne per quattro lunghi anni. Quella lotta riguardò tutte le categorie sociali: i borghesi alla stessa stregua dei proletari, gli anziani ed i giovani, gli uomini e le donne, gli intellettuali e gli operai; tutti, davvero tutti, si sentirono addosso l'esigenza di difendere la propria città dal rischio di divenire la pattumiera d'Europa, e tanto s'entusiasmarono che perfino chiesero ed ottennero la chiusura della fabbrica inquinante, l'allontanamento degli inquinatori e, insieme a quelli, degli avvelenatori della nostra stessa esistenza.
E poi? Poi più nulla. Ci fu, è vero, una delega al livello istituzionale, per tutte le azioni che dovevano seguire; ma (anche questo è vero) prese presto il sopravvento su questa città l'indole che tante volte nel passato, nel bene e nel male, l'ha assistita: la lentezza, l'accondiscendenza, la delega liberatrice, l'"allontanate da me questo calice".
Passata la tempesta, nessuno ha pensato più, nemmeno per un istante, con quali colori poteva essere dipinto il nuovo quadro, capace di ridisegnare il volto della nostra città.
E' vero, il tempo è galantuomo. Ma il tempo non va lasciato solo. Il tempo va infatti aiutato, ad essere galantuomo. Certo, non l'hanno fatto i politici, che non hanno aiutato il loro tempo, lo hanno soltanto atteso, e si sono privati del merito di guidare il nostro destino; ma non lo hanno fatto, quando era tempo di farlo, neanche gli altri cittadini, né hanno essi aiutato in qualche modo i politici, essendo ognuno tornato, forse anche comprensibilmente, alle proprie quotidiane occupazioni, alle discussioni infinite sulle partite di calcio e sulla moda, sui sentimenti e i sentimentalismi, sugli inviti e le feste sempre incombenti, sui giovani senza valori e su come siano mutati i tempi.
Così concluderei questo articolo, ma non me la sento, è davvero triste concludere un articolo così.
E se è triste farlo, perché non provare ancora? Perché non proviamo di nuovo a sognare, magari con la stessa ingenuità e lo slancio che ci hanno, di tanto in tanto, accompagnato negli ultimi trent'anni, senza aspettare però questa volta l'arrivo di navi tossiche o gigantesche nubi d'arsenico, orride fughe in massa ed un'estesa proliferazione dei tumori?
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